
IN CINQUE MINUTI. Conversazione con Valeria de Martino, ricercatrice Istat
La fotografia dell’Istat tra demografia e fragilità. Conversazione con la ricercatrice Valeria de Martino.
L’Italia sta attraversando profondi cambiamenti demografici e sociali, che impattano anche sui modelli di consumo e sulle strategie commerciali. In questa intervista, Valeria de Martino, ricercatrice dell’Istat, analizza l’evoluzione della popolazione e il ruolo che i dati possono avere nel guidare scelte più consapevoli da parte di chi opera nella distribuzione e nel commercio.
Dottoressa de Martino, quali sono le principali implicazioni dei cambiamenti demografici in corso nel nostro Paese?
«I dati mostrano come la diminuzione delle fasce di età più giovani della popolazione creerà una serie di problematiche in futuro. Per esempio, rispetto al 2004 abbiamo perso un milione di persone della fascia 0-15 anni e acquistato 3 milioni di over 65. Questi cambiamenti demografici portano le famiglie ad avere stili di consumo in continuo mutamento rispetto al passato; la distribuzione dovrà tenere conto di queste tendenze e necessità emergenti».
Quali scenari si prospettano per il futuro?
«Secondo le nostre previsioni, nel 2050 gli over 65 saranno tre volte più numerosi della fascia 0-15 anni, per cui si farà sempre più importante la tematica relativa alla silver economy. Gli anziani avranno mediamente maggiore disponibilità economica rispetto ai più giovani, alle prese con un mercato del lavoro sempre più caratterizzato dall’instabilità. Per questo le giovani generazioni, una volta che lasceranno la casa dei genitori, faticheranno a mantenere il loro stile di vita. L’aumento dell’età media comporterà anche uno slittamento progressivo dell’età pensionabile, con la probabile conseguenza che molti lavoratori resteranno attivi più a lungo. Questo scenario, se da una parte rischia di rallentare ulteriormente l’ingresso delle nuove generazioni nel mercato del lavoro, creando una sorta di “blocco” all’ingresso, dovuto proprio alla permanenza dei lavoratori più anziani, dall’altra creerà nuova domanda di lavoro specializzato sganciato dalle concezioni tradizionali».
Negli ultimi anni è cambiato profondamente anche il modo in cui si percepisce l’età anziana. Cosa significa oggi essere anziani? Possiamo ancora parlare di una categoria omogenea o è più corretto distinguere tra diverse fasce di età e bisogni?
«Possiamo individuare due profili distinti all’interno della popolazione anziana. Da un lato, gli over 75, che spesso mantengono un buon tenore di vita, ma iniziano a dover rinunciare ad alcuni servizi a causa di limitazioni fisiche o legate all’età. Per questo target, diventa fondamentale rafforzare l’offerta di servizi di accoglienza e assistenza personalizzata, anche dal punto di vista della distribuzione commerciale. Dall’altro, nella fascia tra i 65 e i 75 anni, osserviamo una sorta di “seconda giovinezza”: si tratta di persone attive che cercano nell’acquisto la fruizione di esperienze personalizzate e servizi di qualità».
Qual è il ruolo sociale che i supermercati di prossimità possono avere per le persone anziane, oltre alla semplice funzione di luogo dove fare la spesa?
«Per queste persone il supermercato non è solo un luogo dove acquistare prodotti indispensabili, ma rappresenta anche un’occasione di socializzazione e interscambio. In particolare nei supermercati di prossimità, si crea uno spazio di incontro con persone conosciute o vicine, trasformando il punto vendita in un vero e proprio luogo di aggregazione e, in alcuni casi, di rifugio sociale».
L’Italia utilizza da anni un indicatore di povertà assoluta basato su un paniere di beni e servizi essenziali. Come è cambiata questa metodologia nel tempo?
«Il nostro è uno dei pochi paesi che utilizza un indicatore di povertà assoluta basato su un paniere definito di beni e servizi essenziali, con l’obiettivo di prevenire forme di esclusione sociale. Questa metodologia è stata introdotta nel 2005, aggiornata poi nel 2023 partendo da un paniere che comprende tre componenti fondamentali: l’alimentare; l’abitazione, intesa come la possibilità di riscaldare adeguatamente la casa e di disporre di uno spazio commisurato alla dimensione della famiglia; infine, una componente residuale che include il mantenimento di una buona salute, i trasporti e la cultura. La parte alimentare è stata profondamente rivista: sono state introdotte nuove linee guida alimentari e ampliato il paniere dei beni considerati essenziali; le restanti componenti del paniere sono state aggiornate anch’esse per sfruttare al meglio le nuove fonti di dati esistenti».
Quali sono oggi i profili familiari più esposti al rischio di povertà assoluta in Italia?
«Abbiamo rilevato che la povertà assoluta è particolarmente diffusa tra le famiglie numerose e nelle regioni del Mezzogiorno. Un elemento nuovo e significativo riguarda invece le famiglie in cui la persona di riferimento è un lavoratore dipendente, ma con un basso inquadramento professionale. In passato, il lavoro rappresentava una sorta di protezione dal rischio di povertà. Oggi, invece, anche chi ha un'occupazione può trovarsi in una situazione di vulnerabilità, soprattutto se i livelli retributivi sono molto bassi. Anche le famiglie composte esclusivamente da stranieri hanno un’incidenza di oltre il 30% rispetto alle famiglie composte da soli italiani in cui l’incidenza è pari al 6,3%. Queste evidenze si accentuano se si focalizza l’attenzione alle famiglie dove sono presenti minori.».
Questi dati possono essere utili anche a chi si occupa di distribuzione e commercio?
«Questi numeri offrono delle indicazioni molto importanti a chi si occupa di commercio, perché conoscere bene il contesto demografico e sociale del territorio in cui si opera significa essere in grado di rispondere in modo più mirato e consapevole alle esigenze dei diversi tipi di clientela che frequentano i punti vendita; inoltre si potrebbero pensare strategie commerciali che si adattino maggiormente al contesto di riferimento e riescano anche a soddisfare le esigenze più specifiche per i target più colpiti dal disagio economico».