3 Marzo 2025

IN 5 MINUTI. Ripensare la prossimità e il concetto di smartcity: una questione di spazi, una questione di relazioni. Conversazione con Elena Granata, urbanista, docente di urbanistica al Politecnico di Milano

Cosa significa prossimità? È solo questione di spazi e di tempi? Chi è un buon vicino e perché?

Queste e tante altre domande ci guideranno nelle conversazioni sulla prossimità che abbiamo organizzato coinvolgendo alcune delle più autorevoli voci del paese su questo tema per noi fondamentale. Perché, crediamo, prima di vendere, dobbiamo sempre cercare di comprendere. Abbiamo incontrato: Elena Granata.

Elena Granata, urbanista e docente al Politecnico di Milano, da anni si interroga sull’evoluzione delle città e sul loro rapporto con il commercio di prossimità, il lavoro e la comunità. In questa conversazione, Granata ci ha guidato attraverso un’analisi critica del modello di smartcity, evidenziandone i limiti e le potenzialità, e suggerendo nuove prospettive per costruire città più intelligenti, a misura dei loro abitanti.

Professoressa Granata, partiremmo con il chiederle una valutazione sui luoghi dove si concentra la maggior parte delle persone, i grandi centri urbani: secondo lei le attuali città, ricche di reti e di sistemi intelligenti, le cosiddette “smartcity”, rappresentano un’evoluzione del concetto di città? Sono realmente più sostenibili, inclusive e a misura di cittadino?

Quando penso al concetto di smartcity penso sempre al concetto di farmacon nel senso greco del termine. Un farmaco che ha benefici ma anche tanti aspetti negativi che si riflettono per forza di cose sul territorio. l concetto di smartcity e smartland ha una genesi ambigua e controversa nel nostro contesto culturale. Nato negli anni 2000 grazie a grandi attori industriali del digitale come IBM, CISCO e Siemens, questo modello di città tecnologicamente avanzata è stato inizialmente accolto con entusiasmo da intellettuali e università, promettendo pragmatismo, sostenibilità e miglioramento della qualità della vita urbana. Tuttavia, con il tempo si è rivelato un farmaco con effetti collaterali negativi. Dal 2020, anche la Commissione Europea ha iniziato a riconoscere il lato oscuro del digitale, evidenziando tre principali paradossi. Innanzi tutto, le smartcity non riducono la dipendenza dalle fonti fossili, ma comportano un alto consumo energetico e una forte impronta ecologica. In secondo luogo, non tutti i territori e le persone hanno accesso alle risorse digitali, creando nuove disuguaglianze. E poi sono macchine perfette per il controllo: il digitale ha aumentato la capacità di sorveglianza e manipolazione, influenzando persino la democrazia, come dimostrano il controllo del dissenso in Cina e Russia attraverso la tecnologia.

Oggi, alla luce di questi aspetti, è necessario un approccio più critico verso il digitale e forse anche l’idea di smartcity va ripensata. Bisogna riconoscerne sia le opportunità che i rischi per la società. E soprattutto è molto importante riconoscere quanto l’evoluzione digitale stia entrando anche nella nostra vita di ogni giorno, con tutti gli aspetti, positivi e negativi.”

Gli utenti della città sono più consumatori, clienti o cittadini secondo lei?

Le città hanno privilegiato i consumatori rispetto ai cittadini, compromettendo il diritto alla casa e alla vita comunitaria. La diffusione delle piattaforme digitali ha destabilizzato gli equilibri urbani, aggravando la crisi abitativa e del lavoro. Il fenomeno degli affitti brevi ha reso le città meno accessibili a giovani, famiglie e ceti medi, erodendo la coesione sociale e modificando i modelli di consumo. La prossimità, intesa come relazione con il territorio e la comunità, è messa in crisi dalla fluidità della residenza e dal turismo temporaneo, che sta trasformando profondamente il tessuto urbano e commerciale. La città dovrebbe essere dei cittadini e per i cittadini, perché è nella città che il cittadino dovrebbe trovare tutti gli strumenti e i servizi per la propria vita quotidiana."

Nel contesto attuale, il commercio di prossimità sembra talvolta stretto tra la crescente importanza delle piattaforme digitali e la trasformazione sociale delle città. In questo scenario, quale può essere il ruolo della GDO nella prossimità? È possibile un modello di distribuzione che rafforzi il legame tra commercio locale, servizi e coesione sociale, senza rimanere schiacciato tra l’online e le superfici di larga scala?

Se sui territori accogliamo sia le grandi aziende che tutto ciò che deriva dalle grandi piattaforme digitali, non possiamo pensare di fare il commercio di vicinato perché le due cose vanno in direzione opposta e contraria. Ci sono economie che dissipano il territorio, che lo impoveriscono, che lo defraudano della possibilità di avere coesione sociale. Ci sono economie di scala, minute, che vivono di mescolanza, che lavorano sui bisogni delle persone, che ricostruiscono il tessuto sociale.

Carlos Moreno parla di città del quarto d’ora che dal punto di vista del messaggio politico se ci pensiamo oggi, appare come se fosse qualcosa di rivoluzionario, per l’idea di avere tutti i servizi prossimi rispetto alla propria abitazione. Ma c’è qualcosa che sfugge in questa visione del mondo ed è poter riportare il lavoro prossimo all’abitazione. Invece oggi una delle più grandi cesure che sta avvenendo è la cesura tra dove lavori, spesso la città, e dove puoi andare a risiedere, lontano dalla città. È quello che sta succedendo in tutti i grandi centri metropolitani di questo paese e nelle città emergenti, dove l’economia tira. Nel ripensare il concetto di prossimità bisogna quindi tener conto del lavoro di prossimità, di conciliazione dei tempi di vita e lavoro, un tema che non riguarda solo le donne, ma anche gli uomini. Riguarda donne e uomini incaricati della cura dei propri figli o dei propri familiari. Per questo la prossimità va ripensata: non facendo riferimento solo alla città del quarto d’ora ma intendendola come modello in cui includiamo anche il lavoro e la vita lavorativa. In quest’ottica il presidio commerciale diventa qualcosa che viene paradossalmente investito di un valore simbolico più alto di quello del passato, perché le persone hanno sempre meno presidi nei quali riconoscersi. Il presidio diventa centro di prossimità di vite, che dovrebbero essere ripensate sulla base dei tempi e non soltanto degli spazi, quindi concentrandosi non tanto nel condividere spazi di vicinanza, ma nell’avere un progetto comune.”

Anche l’idea di smartcity va quindi ripensata?

Sì, se la intendiamo come città intelligente solo perché sfrutta i meccanismi della tecnologia più avanzata per garantire servizi. Non è il concetto di intelligenza che potrebbe proporci appunto l’idea di certe piattaforme, che ci semplifica la vita, che ci fa comprare il biglietto del tram più facilmente, che ci fa usare la carta di credito magari profilando i nostri dati. Quello che oggi dovremmo riuscire a introdurre è l’intelligenza connettiva. L’intelligenza connettiva è quella facoltà tipicamente umana e quindi non della macchina, non del digitale, non delle piattaforme, non dell’intelligenza artificiale, ma degli esseri umani, capaci di discernere sui propri territori, di capire, di interpretare come oggi i territori siano investiti di molte responsabilità. Produrre energia condivisa, individuare e sviluppare i presidi di sicurezza, concepire il supermercato come presidio di informazioni, di condivisione, di allarme, di sicurezza, di tenuta della sicurezza dei cittadini sul proprio territorio, e naturalmente di coesione sociale, di produzione di nuovo lavoro.

Oggi abbiamo bisogno di attori della re-distribuzione, e di politiche redistributive, che non sono solo quelle di reddito. Redistributive di senso, di identità, di bellezza, capaci di restituire al territorio, ai luoghi, alle persone la dignità del luogo in cui vivono. E quindi proporrei due cambiamenti: introdurre sempre il tema della redistribuzione accanto alla distribuzione, e tenere sempre chiara la sequenza  cittadini, clienti, consumatori, perché senza i cittadini non esistono neanche i consumatori”.

La smartcity quindi non dovrebbe ridursi a un concetto puramente tecnologico, piuttosto dovrebbe rispondere a esigenze di coesione sociale e sostenibilità. In questo scenario, il retail fisico e la GDO possono giocare un ruolo cruciale, non solo come punti di vendita, ma come presidi territoriali in grado di favorire relazioni, sicurezza e servizi di comunità.

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